Il riacquisto della cittadinanza per gli Italiani all'estero che furono obbligati a rinunciare per ottenere quella del Paese ospite, in forza di un concetto arcaico di nazionalità, è stato messo da parte. E già questo, di per sé, mi pare un errore.
Ma ancor più grave è aver trascurato il caso di chi è nato all'estero da madre italiana prima del 1948.
Grave perché in questa fattispecie si integrano due elementi: il primo, assolutamente da correggere, si riferisce al fatto che le donne, prima di quella data, non erano considerate giuridicamente atte a trasmettere la cittadinanza italiana; solo i figli di padre italiano potevano essere Italiani.
Il secondo, cui sono particolarmente sensibile, è il pensare che in tale situazione si ritrovano molti figli di fuoriusciti. Le donne che lasciarono l'Italia, perseguitate e/o condannate perché Antifasciste, non solo persero la cittadinanza perché "indegne", ma pur riacquisendola dopo la Guerra non poterono trasmetterla ai figli nati in esilio.
Ecco, da un Governo che sembra così teso a "modernizzare" il diritto pubblico - tanto da affermare che erano 70 anni che si pensava di modificare la Costituzione e pronto a tutto pur di cambiarla - mi sarei aspettato una maggiore sensibilità, verso le donne, verso i figli dei padri e delle Madri della Patria.
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