Giornalista Antifascista.

lunedì 21 maggio 2012

Ecco il secondo articolo dei giovani dell'ANPI, scritto la notte tra il 7 e l'8 maggio 2012. la giornata era stata dedicata alla prima visita al Campo di Auschwitz.

Squilla il telefono, apro gli occhi e guardo l’ora: 6:45.

Il traffico è già denso uscendo da Cracovia direzione Auschwitz. Preoccupazione, curiosità, inquietudine … è difficile descrivere i nostri pensieri mentre ci avviciniamo alla prima vera tappa del nostro viaggio. Le formalità per entrare nel campo - per noi - sono rapide ed il primo impatto è per ognuno una sensazione diversa: i binari, il filo spinato, la scritta tornata al suo posto.

Attraversiamo la barriera elettrificata ed entriamo nella prima baracca in cui, seguendo il percorso dei deportati, viviamo l’annullamento della persona umana: “eravamo donne e uomini scendendo dal treno, siamo un numero uscendo dalla baracca 1”.

La scala è stretta, i gradini sono consumati; nella stanza che si apre un vetro divide il visitatore di oggi da una raccapricciante montagna di capelli; la voce della guida ci racconta che nel tempo hanno cambiato colore, ma la memoria delle persone a cui sono appartenuti è viva dentro di noi. Usciamo con l’immagine delle latte di cianuro ed è il colore delle scarpe, da quelle con il tacco alle pantofole dei bambini, assieme ai nomi sulle valigie che ci accoglie nella seconda baracca.

Un cumulo di occhiali aggrovigliati, ricordi di vite infrante: la testa spaccata di una bambola di porcellana. Nel piazzale dell’appello il 7 di maggio ci sono 10 gradi. Nelle pozzanghere si riflette il plumbeo di un cielo soffocante.

Ripassiamo sotto la scritta, conservando nelle orecchie la storia di Luigi. Luigi sceglie di entrare ad Auschwitz per accompagnare la nonna e cozza contro la cruda realtà che li separa al primo appello. Non doveva essere il suo posto e non è il suo posto, tanto che gli adulti lo nascondono, lo proteggono, lo nutrono, gli disegnano un modo per sopravvivere. Luigi riattraverserà l’entrata del campo due anni dopo la liberazione ed è con lui che facciamo il viaggio di ritorno verso Cracovia.

Dai finestrini dell’autobus scorrono i ristoranti e gli hotel dall’altra parte del lager, che si confondono con le immagini dei nostri sorrisi tirati nel tentativo di confortarci e delle risate fuori posto di qualche turista dell’orrore.

Arriviamo davanti all’albergo con la consapevolezza del dovere della memoria: “nunca mas”, mai più.

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